martedì 21 ottobre 2014

COMMESSE, UNITEVI: IL GRIDO DI BATTAGLIA DELLA GIANNI

Oggi mi sento battagliera. Oggi è una di quelle giornate che, in potenza, mi verrebbe da bandire scioperi della fame nazionali, marciare alla testa di cortei, aizzare le folle con invettive appassionate e poi assaltare il Fosso di Helm e banchettare con gli Uruk-hai. 

Ci sono dei giorni che va così. Anzi, per la verità no, i giorni sono tutti uguali, è che ogni tanto salta fuori una qualche questione, un certo tal discorso, una frase qualunque buttata lì per caso, che ti fa montare dentro l'ira funesta. Tipo a me succede quando dicono che a Milano c'abbiamo solo la nebbia. Quando sento la pubblicità della LAV alla radio. Quando lo sveglione di turno mi fa notare che guarda! Hai un brufolo enorme! - ma dai, brutta testa di palta, se ci ho spalmato sopra otto chili di fondotinta e una mano di vernice è perché forse non mi faceva piacere che la gente notasse il mio brufolo enorme perciò ti ringrazio di averci acceso i riflettori sopra, grazie, grazie mille.

Insomma, facendola breve e tagliando corto con gli sproloqui, è successo che pochi giorni fa, una delle blogger che seguo con l'affetto che riserverei a cugine di primo grado e al barista che mi fa il cuore di cacao sul cappuccio, ha pubblicato un post. La blogger in questione è Valentina di Inspire with Grace, e ve ne avevo già parlato qui. Il post invece è questo e se vi va, leggetelo, è carino, è scritto bene e, se vi piace la moda, potreste trovarlo molto ma molto interessante.  Se non vi va di leggerlo, ve lo riassumo io in due parole, così posso andare avanti col discorso: il post gira tutto intorno all'equazione secondo cui to be a fashion blogger is the new fare la commessa. Ovvero, cestello raccoglimmondizia per tutti quelli che: non hanno voglia di studiare, non sanno fare nient'altro, vogliono un lavoro facile, *altri luoghi comuni a caso*. Insomma, zero competenze, zero preparazione, poco sbattimento e soldi facili. Con queste prerogative, una volta si andava a fare la commessa (o la parrucchiera, amiche, tiro in mezzo anche voi), adesso si fa la fashion blogger. Certo

Allora, Valentina fa la commessa. Come me e come tanti di voi, agenti, commerciali, rappresentanti, sailcazzo. Siamo tutti commessi, perciò fatevene una ragione. Punto primo.
Punto secondo: ci sono due modi per fare le cose, tutte le cose. Uno è alla cazzo. L'altro è per bene. Io faccio la commessa e lo faccio per bene. Ho deciso di farlo, dopo aver preso una laurea scientifica, per una serie di motivi che non voglio star qui ad elencare, ma che sicuramente comprendeva il fatto che a me questa professione piace. Ho detto professione, sì. Io sono una professionista, ho lavorato e lavoro con professionisti. Ho studiato, ho fatto la gavetta, mi sono fatta il culo quadro tra formazioni, workshop, trasferte, budget da raggiungere, obiettivi personali, obiettivi cumulativi, training e, non da ultima, quotidiana esperienza sul campo, a contatto con delle persone. Di età diverse, razze diverse, culture diverse, lingue diverse, con una concezione propria di desiderio, qualità, design, servizio, lusso.
Per questo, per tutto questo, mi girano i coglioni quando le persone che incontri ti chiedono "Che lavoro fai?" e alla tua risposta "La commessa" la loro reazione più coinvolta è "Ah", e conseguente repentino calo di interesse, perché se fai la commessa non sei nemmeno degno del tanto di buona creanza che spinge quantomeno a fingere di mostrare interesse per il proprio interlocutore. Mi girano i coglioni a palla quando se fai la commessa in una boutique di lusso, di certo non ti ammazzi di fatica. Oppure quando, con tanto di occhioni sgranati ti chiedono "oh, ma davvero lavori anche nel weekend/a Pasqua/a Capodanno/il giorno del battesimo di tuo figlio?". Dai.

Allora io, qui ed ora, con lo stendardo delle Commesse Unite che sventola dal balcone, voglio spiegarvi veramente cosa vuol dire fare la commessa:
vuol dire essere istruite, perché devi saper parlare con la gente, e non importa se loro sono avvocati e non sanno usare il congiuntivo, tu devi, e con eleganza devi anche fare finta di non notare il loro sefarei;
vuol dire essere formate, su diversi livelli, dai materiali, alle tecniche di lavorazione, alle caratteristiche meccaniche di certi prodotti, al know-how, alle influenze artistiche-storiche-geografiche delle collezioni, alla storia della moda;
vuol dire essere informate, sui competitors, sugli influencers, ma anche sulla situazione politica della Papuasia, ad esempio, perché una commessa lo sa che un aereo che cade in Malesia o una guerra in Medio Oriente possono avere ripercussioni devastanti sul proprio cassetto, pertanto essere una commessa
vuol dire essere in grado di pianificare, elaborare strategie di vendita, essere capaci di gestire in maniera intelligente nel tempo le proprie risorse, perché vendere può anche essere facile ma continuare a vendere, soprattutto in certe condizioni, può essere molto ma molto difficile;
vuol dire essere eclettiche, perché devi essere in grado di rapportarti (e vendere) alla principessa settenne della Birmania così come alla nonnina che dà fondo alla pensione per la laurea della nipote;
vuol dire essere multiculturali, la commessa sa quando cade la festa di Metà Autunno in Cina, quando finisce il Ramadan, sa che agli asiatici il biglietto da visita si offre con due mani e che i mediorientali trovano offensivo quando ci si congratula con loro per l'acquisto, che in Cina il bianco è il colore del lutto, un cappello verde è sinonimo di tradimento e che il nome proprio non va mai scritto con la penna rossa;
vuol dire essere competitive, perché gli obiettivi da raggiungere sono giornalieri, mensili e annuali, e vengono calcolati sul budget del negozio, sul proprio budget personale e su obiettivi qualitativi mirati;
vuol dire essere collaborative, perché gli obiettivi si raggiungono in gruppo, ma non passive perché si nuota in un mare di squali e bisogna stare a galla senza braccioli;
vuol dire saper gestire le emergenze, e per emergenze non si intende solo la cassa che smette di funzionare alle quattro del sabato pomeriggio o l'ascensore in blocco, ma anche tubi dell'acqua che esplodono tipo Niagara Falls, tentativi di furto, psicopatici in cerca di un momento di gloria, starlette incazzate, popstar di fama mondiale in abito di lattice che mandano in tilt l'intero centro città;
vuol dire parlare almeno due lingue ma tre è meglio;
vuol dire conoscere a memoria prezzi, misure, giacenze e arrivi perché il beneficio del dubbio è concesso a tutti, tranne alla commessa, perché di una commessa impreparata non si fida nessuno;
vuol dire sviluppare senso estetico, perché le persone si affidino a te come a una consigliera di moda;
vuol dire essere sempre impeccabili, dentro e fuori dalla boutique, perché rappresenti il marchio e può capitarti di incontrare una cliente al mercato di San Marco il lunedì, e se sei in tuta e scaramigliata non va bene né sei giustificabile;
vuol dire essere in grado di rinunciare ai weekend con gli amici, alle vigilie di Natale a preparare lasagne, ai ponti al mare, all'epifania, il carnevale, il 25 aprile, il primo maggio, il due di giugno, pasqua, pasquina e pasquetta a casa con la propria famiglia;
soprattutto, soprattutto, vuol dire essere sorridenti. Sempre. Sempre. Anche quando ti sei lasciata col fidanzato, anche quando il cliente è maleducato, anche quando, e alcune mie colleghe lo sanno purtroppo fin troppo bene, ti diagnosticano una brutta malattia e cominci a perdere i capelli e vieni in negozio con la parrucca. E non esiste cosa più difficile di questa, di essere sempresempresempre sorridenti.

La cosa buffa è che tutto quello che vi sto dicendo è di una banalità disarmante, perché è sotto gli occhi di tutti voi, tutti i santi giorni, al supermercato, al bar, al telefono, in lavanderia, in palestra. Siete continuamente a contatto con venditori, per la maggior parte svogliati, impreparati o semplicemente maleducati, tanto che la volta che incappate in un venditore bravo, che sa fare il suo mestiere, siete i primi ad essere felici come pasque e a sentirvi appagati.

Ora, al di là di tutta sta pappardella, sono perfettamente cosciente del fatto che di certo fare la commessa non è il lavoro più difficile del mondo. Tutti possono fare la commessa. Ma tutti possono fare il biologo, ad esempio. E lo posso dire, perché l'ho fatto. Scommetto che io, come tutte le persone mediamente intelligenti, avrei potuto fare senza grossi problemi anche la veterinaria, la fisioterapista, la contabile, la geometra, l'oculista o l'insegnante. Il punto sarebbe stato farlo bene. Ho scelto di fare la commessa. E ho scelto di farla bene.

1 commento:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...