martedì 31 marzo 2015

CANTO DI PRIMAVERA

La Primavera è quella cosa che non sai mai quando arriva e poi quando arriva tu hai ancora gli stivali addosso.

Ci sono persone che odiano l'estate e persone che odiano l'inverno. Io, nel mio spirito di perenne malcontento, odio democraticamente tutto l'anno, ma se c'è una stagione in particolare che mi urta il sistema nervoso, è la primavera.

Povera primavera, lo capisco che sia una stagione difficile. Ma infatti io non la odio per partito preso, anzi, la amerei, da un punto di vista prettamente teorico.
Amerei il tanto cantato risveglio dei sensi e della natura, gli uccellini che svolazzano, i fiori che sbocciano, i ruscelli che ruscellettano e gli scoiattolini che aiutano Biancaneve a stendere i panni, giuro, li amerei. E' che questi stronzi non arrivano. Oppure arrivano tutti insieme, e io non sono pronta. Oppure arrivano per un po', te la fanno credere, e poi se ne vanno e ti ripiombano nel freddo porco. Insomma, la primavera è la stagione del Caos, condizione che generalmente mi trova abbastanza a mio agio, ma che se riguarda le condizioni climatiche è in grado di gettarmi in stato di profonda frustrazione, lasciandomi a vagare con la mente confusa da un'anta all'altra del mio armadio.

Se fossi io il regista delle quattro stagioni la faccenda sarebbe molto ordinata: si è fatto il 21 Marzo, perfetto, aumentiamo il sole, diminuiamo il buio, spegni quel vento tu, rubinetti chiusi e via... si va in scena! Dal 21 di Marzo, senza shock e senza traumi, vi prenderei tutti per mano e dolcemente, gradatamente, vi indurrei a spogliarvi di un pezzo al giorno, ma non troppo in fretta, quel tanto da farvi godere il trench di Zara che vede la luce quattro giorni l'anno se siamo fortunate, così, giù lungo tutta la primavera, fino a farvi lanciar via le scarpe e correre coi piedi nudi nei prati verso giugno.

E invece, regna il disordine in città: gente con il Colmar si accompagna a sgallettati in infradito di paglia e camicie floreali, al bar si rimane per ore indecisi di fronte al bancone senza sapere se ordinare cioccolata calda e cantucci oppure il ghiacciolo verde, la popolazione urbana vaga, smunta e disorientata, con la pedicure sfatta, i peli sulle braccia, i polpacci luminescenti sotto i raggi UV.
La Primavera è l'elogio alla saggia via di mezzo e, lo sappiamo perfettamente tutti, la Via di Mezzo è stata cancellata dalle cartine toponomastiche di Milano in un periodo imprecisato tra Novembre e Gennaio, mentre io ero impegnata a togliermi i calli dai piedi e non me ne sono accorta.

Passeggio per strada, sudante nei miei jeans e ballerine, e la voglia che mi viene è quella di scrollare forte per le spalle la tipa col cappotto sul marciapiede di fronte e urlarle sputacchiando in faccia perdioooooo non hai caldoooooo????
Mi monta il sospetto che la tipa mi stia occhiando sorniona, con la faccia di quella che dice: sì sì, fatti la figa tu, con quegli occhiali da sole del cazzo, che tanto poi a Pasqua piove.

Ma perché non l'ho ancora imparato che cappotti e coperte in pelle di pecora vanno portati in lavanderia a maggio, non adesso, a maggio, quando la sicurezza di esserne venuti fuori è sufficientemente avvallata da temperature sahariane costanti? Non adesso, che poi piove. Succede sempre, perché la primavera è così, un po' troia. Le piace tentarti col cambio dell'armadio e poi spararti a tradimento un mese e mezzo di freddo siberiano e grandine, salvo poi, una volta che ti sei riconciliata con gli Ugg's, hai rivenuto il paraorecchie e ti sei rassegnata ad una vita in cappotto, tac! Nel bel mezzo di un pomeriggio piovoso le nubi si squarciano, il sole splende, la temperatura vertiginosamente tocca picchi inaspettati e tu, grondante e isterica nel tuo piumino, ti aggiri in mezzo a figame in gonna e sandali e, non ci credi, abbronzato. Ma quando, quando, gliel'hanno detto a loro, quando hanno avuto modo di farsi la ceretta e mettersi lo smalto, PERCHE' IO NON NE SAPEVO NIENTE EH? EEEEHHHH?

In conclusione, la Primavera per me è la stagione delle speranze irrisolte, dei sogni fatui, delle delusioni apocalittiche e dell'attesa.

La primavera è la stagione delle cosce pallide e coperte di peluria che ti fanno inorridire: cioè io ho fatto tutto l'inverno così e nessuno mi ha detto niente? Ebbene sì, tanto sotto il pigiama di pile chissenefrega, siamo tutti più al sicuro.

La primavera è la stagione delle strane voglie. In primavera si ricomincia a fumare, non lo so perché ma è così. Sarà la montante voglia di stare all'aria aperta, che a certuni fa venire in mente di prendere la bici e andare sulla Martesana ma a noi, pigri, sociopatici, ipoconnessi, fa venire solo voglia di  bere spritz e di fumare sul balcone dopo cena.

In primavera si prendono tutte le scelte sbagliate, perché è la stagione dell'irrequietezza e bisogna fare subito tutto, subito, prima che l'estate ci ammazzi di fatica e di caldo. Quindi di solito ci si fidanza/ci si lascia/si cambia lavoro casa lenti a contatto contratti con l'Enel e medico di base, e poi ci si pente a settembre, quando tutto riacquista il ritmo rallentato della quotidianità.

La primavera è la stagione delle cose che vorrei. E io nell'ordine vorrei
un taglio di capelli, un burrocacao nuovo, non avere mai sonno per leggere fino a tardi la sera,  correre 10 km senza morire, stendere il bucato sui fili del balcone perché adesso abito in un palazzo di ringhiera e voglio attenermi ai clichè, la pancia piatta, l'uovo di pasqua con una sorpresa cretina, dormire tanto, andare in vacanza, scappare, licenziarmi, ricevere una mail, ricevere una telefonata, una spazzola nuova, un mascara che faccia le ciglia da manga per davvero che quello della L'Oreal si è rivelato un pacco, una giornata di shopping con la Sgnappa, un paio di jeans non shreddati perché non ho più quindici anni, un culo più piccolo,un culo più sodo, una limonata, un anello che ho visto, la santa pazienza, uno stomaco forte e un pomeriggio di sole in cui mettersi a leggere al parco senza che nessuno tenti di vendermi qualcosa.





domenica 22 marzo 2015

TUTORIAL PERCHE' NON SO COSA FARE E ALLORA MI METTO UN TURBANTE

Habemus wifi, bisogna festeggiare con un post.

Volevo scrivere dei nuovi feticci da mettere nell'armadio per la primavera duemiliquindici ma mi fa tutto schifo.
Volevo scrivere un post su come ho iniziato a correre ma ormai l'hanno scritto tutti e ho una paura sacra del confronto.
Volevo ammorbarvi ancora un po' con gli estesi orizzonti della mia infelicità ma ho pietà di voi.
Ho anche pensato di riaprire una diatriba letteraria, visto che sono al quarto capitolo de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, ma poi sono sicura che mi spoilerate.

Quindi ho deciso di scrivere un post sul NULLA siderale che c'è nella mia mente.

Anzi no, vi racconto del turbante. Il vero e unico feticcio di primavera, visto che Zara ha deluso.

Come ben sapete, ho una personalità dai contorni labili. Sono: tendenzialmente insicura, dotata di un'autostima nanica, generalmente afflitta da un pessimismo cosmico che Baudelaire in confronto ti sembrava di stare a Zelig. Vi ho anche già confessato la mia opinalbile tendenza alla copioneria. Copiare è tipico delle persone insicure, oppure poco fantasiose, quelle che si sentono meglio a stare un po' defilate nelle retrovie e poi saltare all'ultimo sul carro del vincitore. Eccomi, sono io.

Questa volta il giochetto dovrebbe venirmi facile, visto che ho trovato da copiare niente meno che la mia sosia, però molto più figa. Ve l'avevo già segnalata qui ma ve la riposto,a scanso di ogni dubitamento.


Questa fissa della sosia figa ha un non so che di sfigato che mi ricorda quelli che su Facebook vanno a cercare la gente che ha il loro stesso cognome. 

Questa è Amara, tizia di cui né io né presumibilmente nessuno di voi sapeva nulla fino all'opportuna segnalazione della Scoppiatissima Jo, da cui è nata la mia ossessione.

Io e Amara abbiamo in comune due tratti fondamentali: il naso importante e un altrettanto importante arcata dentale superiore. Ci allontanano svariate altre cose, tra cui una sostanziale differenza di abilità canore, un passato ortodonzistico con risultati riconoscibili, la lunghezza del pelo e il turbante.

Se con i vocalizzi posso fare poco e i capelli devo pazientare finché crescono, è con orgoglio che vi rendo partecipi del lauto assegno staccato al mio dentista per fare ordine nella mia indisciplinata bocca. Mi mancava solo il turbante.

Se posso essere un tantino polemica, non c'è una youtuber che una che sia in grado di insegnarmi ad allacciare un turbante come Amara. Senza contare il fatto che, dopo aver setacciato Etsy, Depop e svariati siti indiani per corrispondenza, gli unici modelli vagamente decenti sono riuscita a trovarli su un sito dedicato a donne in cura chemioterapica, al che mi sono sentita una merda e sono andata da H&M a comprare una sciarpa.

Non è stato facile. Intanto, affinché possa essere spacciato per turbante, la sciarpa deve avere la giusta lunghezza: non troppo corta, non troppo lunga, a spanne ho ritenuto che circa due metri potessero andar bene. La consistenza è molto importante: mi sarebbe piaciuto trovare un jersey, ma sono riuscita a reperirne solo in tinta unita e gnè. Volevo qualcosa in fantasia. La seta è troppo scivolosa (e poi dove la vuoi trovare una seta da H&M?) perciò ho optato per un cotone leggero, perché quelli troppo spessi avevo paura di far fatica a lavorarli.

Quindi: abbiamo il turbante. Adesso bisogna solo metterlo.

Dopo alcune sessioni di allenamento con mia sorella Sgnappa che, non si sa perché, sembrava abbastanza ferrata sull'argomento, mi sento pronta per il tutorial definitivo sull'uso del turbante in stile Amara (bugia: trattasi di laido surrogato ma oh, per ora ci accontentiamo).

Step 1: acconciarsi i capelli a cipollotto cazziforme, oppure anche no, se volete tenerli sciolti fate voi, io sto male.

Foto di ottima qualità per mostrarvi la beltade della mia acconciatura.
Step 2: sciarpa dietro alla nuca, le due estremità davanti. Che siano lunghe uguali, fate le cose per bene.


Dietro la mia spalla, l'orecchio del Simba in dimensioni naturali che, nell'immaginazione mia e del Pelliccia, impersonificherebbe il fratello della Nina. Si chiama Duccio. Ciao Duccio.

Step 3: incrociare le due estremità della sciarpa nell'esatto punto mediano della vostra fronte.

Non c'è niente di più difficile che farsi un tutorial quando si è in casa da sole. Pelliccia dove sei quando mi servi per le foto perdio?

Step 4: incrociare ancora una volta le due estremità della sciarpa sulla fronte.

Qui mi sono aiutata con un piede, non dico altro.

Step 5: incrociare i due lembi sulla nuca.

Helloooooooowwww

Step 6: arrotolare più e più volte la sciarpa fino a coprire il cipollotto e poi chiudere con un nodo, cercando (ovviamente non riuscendoci) di nascondere gli ultimi due pezzettini di stoffa tra le pieghe.

Duccio sembra approvare.

Step 7: allargare le due fasce sulla sommità della testa per coprire tutti i capelli.

Taaaaaaaaaaac.

Step 8: Ciao Amara!



Un tutorial di tale rara bruttezza e inutilità temo di non averlo visto mai, ma sticazzi, sono le unidici di sera e io avevo il wifi.

Comunque, onestamente, non pare anche a voi che siamo come due gocce d'acqua?







venerdì 13 marzo 2015

SENZA TITOLO

Ho una sensazione stranissima a volte: è come se avessi la testa piena di palta.

E' una sensazione fisica, tangibile. riesco a sentirne l'odore, è viscida, è granulosa. Nella palta i miei pensieri si muovono a fatica, lottano per galleggiare. Cercano di trovarsi, di toccarsi, ma la palta è spessa, pesante, i movimenti sono lenti.

Rimango incantata a guardare nelle teste libere degli altri, i pensieri che sfrecciano in un ambiente non saturo, sono fluidi, veloci. Io a volte sono così stanca che lascio i miei pensieri alla deriva, nella palta: nella mia testa l'aria è calda, l'atmosfera è torpida. I miei pensieri si abbandonano inermi, stremati, si immergono nella palta, immobili.

Ho smesso di provare imbarazzo per la palta che ho nella testa parecchi anni fa, quando ho smesso di imbarazzarmi per il naso o i denti enormi. Ho scoperto che se sei la prima a fare ironia sul tuo naso nessuno ti chiamerà Bergerac. Allo stesso modo, se ammetti di avere la palta nella testa, se la fai vedere, ti sporchi le mani, la lasci gocciolare densa dalle dita. Se ammetti di avere la palta, nessuno ti chiamerà stupida.

Ogni tanto succede che due pensieri faticosamente si raggiungano, si crea un collegamento. Li guardo ad occhi sgranati, con una sensazione di stupore, di meraviglia. Vorrei poterli sfilare dalla testa con due dita, farli vedere al mondo, come succedeva con gli scarabocchi e la maestra dell'asilo. Ma non si può non si può non si può, il legame è fragile, si spezza. I pensieri, li perdo.

Sto vivendo un periodo in cui passo la maggior parte del mio tempo in uno stato di immobilismo, senza essere veramente impegnata ma senza essere libera. Come se avessi delle scarpe di piombo: smanio, ma non posso non posso muovermi. Disegno giri sempre più stretti nella mia gabbia. Implodo.

Sento che se solo riuscissi, se solo riuscissi a trovare un pensiero. Ma sono piena di palta, non riesco a pensare, non so cosa che cosa che cosa che cosa.

Sono stanca di vedere persone che si fotografano. Queste fioriere le odio. E il sole, da questo lato della strada, non batte mai.

giovedì 5 marzo 2015

IL PAPPAGALLO

Quando si cambia casa ci si aspetta un periodo di transizione: un periodo in cui vorresti metterti quel paio di scarpe ma non le trovi, fai il primo bucato e ti rendi conto di non aver traslocato lo stendibiancheria, cerchi interruttori su pareti lisce e armeggi con mazzi di chiavi eterogenei e sconosciuti.

Poi, lentamente, la vita torna ad avere dimensioni familiari, rimodelli le tue abitudini ai tuoi nuovi spazi, curi a suon di Oki il mal di schiena da scatoloni e, stremata ma in pace, ti raggomitoli sul tuo nuovo (o vecchio, ma dopo un trasloco tutto sembra comunque un pochino nuovo) divano, col computer in grembo, pronta a tradurre la tua avventura in un post.

E' proprio in quel momento che la verità più orribile di tutte si palesa alla tua coscienza: improvvisamente, ti rendi conto di non avere una connessione.

Non avere il wifi è un po' come non avere all'improvviso la mano destra: istintivamente, hai l'impulso di fare determinate cose, azioni che sono talmente abitudinarie e radicate che nemmeno ti rendi conto di voler fare, finché non allunghi il moncherino e realizzi che ti manca qualcosa, il pollice opponibile per prendere il bicchiere, o la connessione wifi per andare su Bloglovin.

Lo shock è stato incredibile, tanto più che inaspettato. Sì ragazzi, inaspettato. Io credevo, ero intimamente convinta, che il wifi fosse qualcosa di biodisponibile nell'aria, come l'ossigeno. Nessuno si aspetta di dover stipulare nuovi contratti per respirare ossigeno quando si cambia casa, e così io davo per scontato il wifi. E invece. 

Insomma, ci stiamo lavorando. Il Pelliccia ci sta lavorando, a dire il vero. E io non ho potuto documentarvi in diretta il triste abbandono di Via dei Matti numero Zero e la grande migrazione quattro vie più in là, al qual riguardo commento solo con la viva speranza di non dover ripetere per i prossimi venticinque anni almeno perché, ragazzi, una roba degna dell'Ironman, giuro. Ma più lunga.

Comunque. Ormai siamo ufficialmente stabiliti, anche se manca la targhetta al citofono e un paio di cosette minori, tipo le tende e il mio specchio da selfie

Il feeling è bello: adoro la mia nuova casa con i pavimenti in bolla, la rimessa per le bici, una finestra in bagno gigante, il portoncino che per aprirlo non c'è da prenderlo a spallate, due portinai amichevoli e dei misteriosi dirimpettai con la porta d'ingresso tappezzata di fiori e farfalle, che secondo me sono pet-friendly, e sto già meditando di farci presto amicizia per sganciargli la Nina quando ce ne andremo in ferie (se ci sarà concesso di andare in ferie, cosa purtroppo non esattamente scontata quest'anno).

Per l'inoppugnabile legge di Murphy, ci sono state delle perdite, messe in conto ma comunque strazianti: ho detto addio col cuore infranto al pistone del letto, che era tanto comodo e ora non si solleva più, al vaso verde che mi piaceva tanto, svariate tazzine e un ombretto glitter da zarra. Tutte cose che amavo. Rimane con noi invece, inossidabile, Il Pappagallo.

Che io non vi abbia mai raccontato del Pappagallo è una cosa veramente disdicevole.

Il Pappagallo è nato un numero inquantificabile di anni fa in uno di quei megastore di ceramiche da giardino che spuntano come funghi sul ciglio della statale. Per giorni, che poi sono diventati mesi e infine probabilmente lustri, il pappagallo è rimasto a prendere sole e pioggia in mezzo a cherubini e busti di donna mutilati, disperando: chi mai avrebbe voluto adottare un pappagallo in dimensioni naturali, incrostato con decorazioni di vetro perlescente?

Ma la vita, si sa, è come una scatola di cioccolatini, e due eventi, apparentemente del tutto scollegati, stavano per svoltare la triste vita del Pappagallo: una firma su un contratto d'affitto, e un inspiegabile gusto sadico maturato nell'animo di un insospettabile amico.

Fu così che il Pappagallo, prelevato dal megastore e impacchettato alla bell'e meglio, venne recapitato in Via dei Matti numero Zero e trovò asilo tra le braccia, perplesse ma ben disposte, nella neo-coppia pelliccica.

Dopo un attimo di smarrimento (e diversi progetti di vendetta), infatti, i Pellicci aprirono il loro cuore al nuovo arrivato e lo decretarono genio domestico, trovandogli comoda collocazione in una nicchia nel muro sopra la porta che pareva messa lì apposta.

Per i primi tempi, i Pellicci sembrarono sviluppare una certa affezione nei confronti del nuovo venuto, che mostravano con orgoglio ad ogni nuovo visitatore (giustificando la presenza di tale oggetto dal retrogusto kitsch con dovizia di particolari sulla storia dell'amico vendicativo). Poi però, come spesso succede, il tempo e l'abitudine presero il sopravvento, e i Pellicci finirono per dimenticare la presenza del pennuto spirito buono che vegliava su di loro dalla nicchia.

Per oltre tre anni Il Pappagallo, sotto il peso della polvere che via via si accumulava, fu muto testimone degli avvenimenti occorsi in Casa Pelliccia, senza mostrare segni di malcontento quando un pet in carne ed ossa venne adottato dalla famiglia, senza tradire nervosismo per il progressivo stato di abbandono in cui cominciava a versare.

Finché, in una casa pressoché demolita e quasi completamente sventrata, qualcuno all'improvviso si rinvenne: "Dobbiamo portar via il Pappagallo!" "Reggerà al trasloco?" "Speriamo di no".

E fu così che, in un borsone dell'Ikea, senza la protezione di pluriball né foglio di giornale alcuno, Il Pappagallo affrontò la traversata, in attesa di conoscere il suo nuovo destino.

Eccolo qui, temporaneamente allocato somewhere, nel limbo disperato delle cose che non si sa dove diavolo mettere, mentre fa compagnia al pistone del letto e alle istruzioni di montaggio di un portarotolo.



"Si è rotto?" "Macchè, ha la pelle dura il pennuto" "Dove lo mettiamo adesso?" "Beh, si merita un posto rispettabile, poverino. Cosa ne dici della libreria?" "No no, lui si merita di meglio. Montiamogli una mensola in cucina, tipo altarino" "Che sia visibile dall'ingresso, però" "Ovvio".

Bentornato a casa Pappagallo, avremo cura di te.





Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...