giovedì 5 marzo 2015

IL PAPPAGALLO

Quando si cambia casa ci si aspetta un periodo di transizione: un periodo in cui vorresti metterti quel paio di scarpe ma non le trovi, fai il primo bucato e ti rendi conto di non aver traslocato lo stendibiancheria, cerchi interruttori su pareti lisce e armeggi con mazzi di chiavi eterogenei e sconosciuti.

Poi, lentamente, la vita torna ad avere dimensioni familiari, rimodelli le tue abitudini ai tuoi nuovi spazi, curi a suon di Oki il mal di schiena da scatoloni e, stremata ma in pace, ti raggomitoli sul tuo nuovo (o vecchio, ma dopo un trasloco tutto sembra comunque un pochino nuovo) divano, col computer in grembo, pronta a tradurre la tua avventura in un post.

E' proprio in quel momento che la verità più orribile di tutte si palesa alla tua coscienza: improvvisamente, ti rendi conto di non avere una connessione.

Non avere il wifi è un po' come non avere all'improvviso la mano destra: istintivamente, hai l'impulso di fare determinate cose, azioni che sono talmente abitudinarie e radicate che nemmeno ti rendi conto di voler fare, finché non allunghi il moncherino e realizzi che ti manca qualcosa, il pollice opponibile per prendere il bicchiere, o la connessione wifi per andare su Bloglovin.

Lo shock è stato incredibile, tanto più che inaspettato. Sì ragazzi, inaspettato. Io credevo, ero intimamente convinta, che il wifi fosse qualcosa di biodisponibile nell'aria, come l'ossigeno. Nessuno si aspetta di dover stipulare nuovi contratti per respirare ossigeno quando si cambia casa, e così io davo per scontato il wifi. E invece. 

Insomma, ci stiamo lavorando. Il Pelliccia ci sta lavorando, a dire il vero. E io non ho potuto documentarvi in diretta il triste abbandono di Via dei Matti numero Zero e la grande migrazione quattro vie più in là, al qual riguardo commento solo con la viva speranza di non dover ripetere per i prossimi venticinque anni almeno perché, ragazzi, una roba degna dell'Ironman, giuro. Ma più lunga.

Comunque. Ormai siamo ufficialmente stabiliti, anche se manca la targhetta al citofono e un paio di cosette minori, tipo le tende e il mio specchio da selfie

Il feeling è bello: adoro la mia nuova casa con i pavimenti in bolla, la rimessa per le bici, una finestra in bagno gigante, il portoncino che per aprirlo non c'è da prenderlo a spallate, due portinai amichevoli e dei misteriosi dirimpettai con la porta d'ingresso tappezzata di fiori e farfalle, che secondo me sono pet-friendly, e sto già meditando di farci presto amicizia per sganciargli la Nina quando ce ne andremo in ferie (se ci sarà concesso di andare in ferie, cosa purtroppo non esattamente scontata quest'anno).

Per l'inoppugnabile legge di Murphy, ci sono state delle perdite, messe in conto ma comunque strazianti: ho detto addio col cuore infranto al pistone del letto, che era tanto comodo e ora non si solleva più, al vaso verde che mi piaceva tanto, svariate tazzine e un ombretto glitter da zarra. Tutte cose che amavo. Rimane con noi invece, inossidabile, Il Pappagallo.

Che io non vi abbia mai raccontato del Pappagallo è una cosa veramente disdicevole.

Il Pappagallo è nato un numero inquantificabile di anni fa in uno di quei megastore di ceramiche da giardino che spuntano come funghi sul ciglio della statale. Per giorni, che poi sono diventati mesi e infine probabilmente lustri, il pappagallo è rimasto a prendere sole e pioggia in mezzo a cherubini e busti di donna mutilati, disperando: chi mai avrebbe voluto adottare un pappagallo in dimensioni naturali, incrostato con decorazioni di vetro perlescente?

Ma la vita, si sa, è come una scatola di cioccolatini, e due eventi, apparentemente del tutto scollegati, stavano per svoltare la triste vita del Pappagallo: una firma su un contratto d'affitto, e un inspiegabile gusto sadico maturato nell'animo di un insospettabile amico.

Fu così che il Pappagallo, prelevato dal megastore e impacchettato alla bell'e meglio, venne recapitato in Via dei Matti numero Zero e trovò asilo tra le braccia, perplesse ma ben disposte, nella neo-coppia pelliccica.

Dopo un attimo di smarrimento (e diversi progetti di vendetta), infatti, i Pellicci aprirono il loro cuore al nuovo arrivato e lo decretarono genio domestico, trovandogli comoda collocazione in una nicchia nel muro sopra la porta che pareva messa lì apposta.

Per i primi tempi, i Pellicci sembrarono sviluppare una certa affezione nei confronti del nuovo venuto, che mostravano con orgoglio ad ogni nuovo visitatore (giustificando la presenza di tale oggetto dal retrogusto kitsch con dovizia di particolari sulla storia dell'amico vendicativo). Poi però, come spesso succede, il tempo e l'abitudine presero il sopravvento, e i Pellicci finirono per dimenticare la presenza del pennuto spirito buono che vegliava su di loro dalla nicchia.

Per oltre tre anni Il Pappagallo, sotto il peso della polvere che via via si accumulava, fu muto testimone degli avvenimenti occorsi in Casa Pelliccia, senza mostrare segni di malcontento quando un pet in carne ed ossa venne adottato dalla famiglia, senza tradire nervosismo per il progressivo stato di abbandono in cui cominciava a versare.

Finché, in una casa pressoché demolita e quasi completamente sventrata, qualcuno all'improvviso si rinvenne: "Dobbiamo portar via il Pappagallo!" "Reggerà al trasloco?" "Speriamo di no".

E fu così che, in un borsone dell'Ikea, senza la protezione di pluriball né foglio di giornale alcuno, Il Pappagallo affrontò la traversata, in attesa di conoscere il suo nuovo destino.

Eccolo qui, temporaneamente allocato somewhere, nel limbo disperato delle cose che non si sa dove diavolo mettere, mentre fa compagnia al pistone del letto e alle istruzioni di montaggio di un portarotolo.



"Si è rotto?" "Macchè, ha la pelle dura il pennuto" "Dove lo mettiamo adesso?" "Beh, si merita un posto rispettabile, poverino. Cosa ne dici della libreria?" "No no, lui si merita di meglio. Montiamogli una mensola in cucina, tipo altarino" "Che sia visibile dall'ingresso, però" "Ovvio".

Bentornato a casa Pappagallo, avremo cura di te.





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